L’offerta italiana Over The Top (OTT), più comunemente detta dei servizi di streaming, vive un momento di quiete prima della tempesta. Ora che si sono conclusi con successo gli accorpamenti da parte di grandi gruppi come l’acquisizione di Fox da parte di Disney, quella di Warner da parte di AT&T e quella di Sky da parte di Comcast, si agitano all’orizzonte nuove minacciose piattaforme pronte a stravolgere il mercato, prime fra tutte quella di Apple, ancora senza nome, e Disney+.
Si tratta di un settore in forte espansione, come rilevava lo scorso anno lo studio “Video on Demand in Europe: 2018-2021” di ITMedia Consulting, che stimava entro il 2020 il raggiungimento di 8,5 milioni di abitazioni, cioè oltre 5 milioni in più di quelle del 2017, per un tasso di crescita media annua del 25%. Secondo poi uno studio di EY, riportato dal Sole 24 Ore gli Over The Top (Netflix Amazon Prime Video, TIMVision, NOW TV, Infinity, Eurosport Player e altri) si avvicinavano al pareggio di abbonanti con la pay-tv tradizionale, che sono attorno ai 6,5 milioni fra Sky e Mediaset Premium. Gli abbonamenti in Italia alle piattaforme di streaming sono passati infatti, tra giugno 2017 e giugno 2018, da 2,3 a 5,2 milioni. E oltre al numero delle subscription c’è anche da guardare al computo totale degli utenti (in famiglia a usufruire delle piattaforme può essere più di uno), che nel 2017 era di 4,3 milioni e nel giugno 2018 arrivava a 8,3. Sempre EY ha registrato anche i dati del mercato del video on demand tout court, conteggiando anche i player gratuiti come YouTube, RaiPlay e Mediaset Play, saliti da 17,6 milioni a 20,9 milioni (considerando chi nell’ultima settimana ha guardato contenuti video attraverso Internet della durata di almeno 10 minuti). In totale quindi gli italiani che fruiscono di video on demand sarebbero 23,8 milioni: il 68% degli utenti internet totali. Tornando infine ai soli utenti paganti ma considerando anche quelli Tvod (dove si pagano le singole transazioni e non un abbonamento, come per esempio Chili), il già citato rapporto di ITMedia Consulting stima che in Italia la penetrazione del 4,6% del 2018 salirà all’8,3% nel 2021.
Nonostante queste magnifiche sorti, l’Italia è per i grandi player internazionali ancora alle propaggini dell’impero, ritenuta un territorio di localizzazione non prioritaria, prima di tutto per ragioni linguistiche oltre che di arretratezza della diffusione della banda larga. Lo dimostra Amazon Prime Video, che se in altri Paesi come Inghilterra, Austria e Germania fa sul serio già dal 2014, da noi si limita invece a una versione per certi versi ridotta della propria offerta. Ridotta innanzitutto nel costo, visto che il servizio è al momento ancora abbinato ad Amazon Prime, che ha il prezzo di 36€ annui o i 4,99€ mensili – e include anche la versione free di Amazon Music. In Inghilterra invece il servizio è sia incluso con Amazon Prime, e costa circa il doppio ossia 79 sterline all’anno oppure 7.99 al mese, sia scorporabile, alla cifra di 5.99 sterline al mese. Una differenza macroscopica rispetto al nostro Paese che si riflette non tanto sugli Original di Amazon – che arrivano pur con qualche differenza, ultimo esempio il doppiaggio di Homecoming che si è fatto aspettare alcuni mesi – quanto sulla library, molto più povera di film e serie storiche. Lo stesso ritardo vale per la promozione, dove gli investimenti sono arrivati solo quando Bezos ha deciso che il servizio diventasse più mainstream, e per le produzioni: Prime Video ha solo da poco annunciato una prima serie italiana e non ha prodotto film italiani, anche se si è avvalsa di Luca Guadagnino per Suspiria.
Pur con meno ricambio del principale concorrente Netflix, Prime Video offre comunque una discreta vetrina a serie di qualità da The Shield a Justified fino al recente arrivo di American Crime oltre ad alcune premiate comedy come The Office, Seinfeld e Parks & Recreation. Tutto questo potrebbe cambiare in futuro con un adeguamento del servizio a quello del Regno Unito, ma non è scontato, visto che contenere i prezzi avrà un ruolo chiave nella futura “guerra delle piattaforme” (in inglese ricorre la definizione di streaming war).
Anche per Netflix l’Italia non è stata una dei primi mercati, ma quando ci è entrata nel 2015 l’ha fatto con entrambi piedi e già due anni dopo è arrivata la prima produzione originale realizzata nel nostro paese, Suburra (appena rinnovata per una terza stagione), cui è seguita Baby e diverse altre ancora sono state annunciate. Gli Originals e le esclusive mondiali di Netflix arrivano inoltre da subito in Italia senza ritardi rispetto al resto del mondo, in versione localizzata con tanto di sottotitoli e doppiaggio. La library internazionale è poi molto ricca e aperta alle serie del mercato europeo, infatti diversi titoli anche italiani ne fanno parte (ma questo vale anche per Amazon che oltretutto ha in catalogo diversi film italiani anni 70′).
Quindi, nonostante gli enormi investimenti e i debiti accumulati per sviluppare contenuto originale, la library continua a essere cruciale nella sua abbondanza e alcuni titoli come Friends (i cui diritti sono stati rinnovati per un altro anno al costo di ben 100 milioni di dollari, contro i 30 pagati per gli anni precedenti) rimangono estremamente preziosi e solo Netflix sa davvero quanto, visto che non divulga i propri dati sulle fruizioni del pubblico – o meglio sta iniziando a farlo solo ora, ma in modo ancora occasionale e comunque unilaterale e non confermabile. La piattaforma ha aumentato il prezzo del servizio già una volta dal 2015 e visto il recente incremento annunciato per gli Stati Uniti è possibile che più avanti anche l’Italia ne sia influenzata, ma al momento è solo un’ipotesi. Secondo la società di consulenza Ovum gli abbonati italiani avrebbero raggiunto il milione e mezzo nel 2018 e potrebbero arrivare ai due milioni alla fine del 2019, un numero parecchio superiore ai clienti di Amazon Prime, che sarebbero meno di mezzo milione.
Le piattaforme nostrane, meno roboanti nei loro annunci e nelle produzioni piene di star, si difendono comunque bene, per esempio Infinity è stata accreditata in passato a 750 mila clienti e TIMVision nel 2018 era intorno al milione e duecentomila clienti, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 4,5 milioni nel 2020. TIMVision però, un po’ come Prime Video, fa anche parte di un pacchetto e viene automaticamente attivato ad alcune tipologie di abbonati residenziali a TIM, quindi il numero è probabilmente un po’ gonfiato rispetto a chi sarebbe davvero interessato a pagare per il servizio. D’altra parte proprio TIMVision è l’unica piattaforma italiana che si cimenta con convinzione e successo nella produzione: oltre all’emblematico caso di SKAM Italia, realizzato da CrossProduction e che per altro è una delle versioni di SKAM più apprezzate anche all’estero, la piattaforma ha avuto successo anche con un progetto ibrido tra doc e fiction come Dark Polo Gang – La serie. Non bisogna infatti dimenticare che oltre alla fiction hanno un ruolo importante altri tipi di contenuti, dal documentario all’intrattenimento degli show. Se Netflix ne produce alcuni e soprattutto ne distribuisce in esclusiva diversi (per esempio RuPaul’s Drag Race), Amazon, che ha sempre un occhio di riguardo per il mercato inglese, ha fatto un investimento cospicuo con The Grand Tour, prendendo i presentatori di un grande successo internazionale come Top Gear. Ovviamente MasterChef e X-Factor sono contenuti pregiati per NowTv e YouTube Premium vive soprattutto di show, oltre che dei propri video privi di pubblicità, di un pacchetto musicale e di qualche serie di fiction anche piuttosto ambiziosa, da Cobra Kai a Impulse e Step Up High Water, tutte non a caso dal taglio teen o young adult.
Sia TIMVision, sia Infinity, sia NowTv (il cui abbonamento si divide in tre: serie, cinema e sport) danno grande spazio alla library, che è davvero molto ampia in tutti e tre i casi, soprattutto sul versante cinema con una scelta di film anche meno recenti rispetto a Prime Video e soprattutto a Netflix, che ama vivere nella contemporaneità. Ovviamente poi di cinema, più che di serie, vive Chili, che negli anni ha ottenuto investimenti anche da Sony, Warner, Viacom e Paramount. Infine il calcio meriterebbe tutto un altro discorso, che esula però dalla nostre competenze e dall’area di questo sito, basti dire che ha un peso importante per alcune piattaforme come NowTv, Infinity e pure TIMVision e sul calcio si base un ulteriore servizio, quello di DAZN, che pur se molto criticato vanta un notevole numero di iscritti. Dei grossi player internazionali Netflix non si interessa allo sport, ma Prime Video in Inghilterra si è data parecchio da fare con i diritti del tennis e anche con quelli di alcune partite della Premier League.
Rimane da vedere quanto l’arrivo di Disney+, Apple e Warner accelereranno la crescita del settore o se porteranno alla saturazione. Di fronte a brand così consolidati, realtà relativamente nuove e con produzioni di livello non paragonabile finiranno per perdere velocemente terreno oppure l’inerzia del vantaggio acquisito si rivelerà robusta? Di certo il settore continuerà a vivere tempi interessanti.