La formazione del mercato video-televisivo
A partire dalla fine dello scorso decennio, l’industria e il mercato audiovisivo registrano alcune trasformazioni estremamente importanti: crescono i consumi video su piattaforma Internet e nuovi operatori prendono posto sul mercato. Questi offrono, su scala globale, contenuti amatoriali e professionali, contribuendo così alla formazione di un vero e proprio “nuovo” ambiente audiovisivo. In una prima fase, questo ambiente si configura come un ambito ben distinto da quello del broadcasting storico, gratuito e appare come del tutto legato alle specifiche modalità distributive e di consumo che caratterizzano Internet. I consumi sono effettuati prevalentemente dallo schermo del personal computer e le nuove offerte paiono nulla di più di una sorta di propaggine audiovisiva di quello che una volta veniva chiamato il mercato dei contenuti multimediali.
Progressivamente il peso delle offerte e dei consumi di video online cresce e il nuovo ambiente audiovisivo assume una sempre maggiore rilevanza fino a lambire e poi impattare più o meno direttamente quello storico della televisione. La diffusione, anche sul televisore connesso, dei nuovi servizi video e lo sviluppo della capacità di produzione di contenuti originali da parte dei nuovi operatori assumono dimensioni importanti e del tutto inattese. Oggi non si può più comprendere il mercato televisivo senza guadare ai confini di un mercato allargato video-televisivo. Con il lancio e il forte sviluppo della offerta SVoD (Subscription Video on Demand), Netflix rivoluziona, prima negli USA e poi a livello internazionale, il mercato dell’home video online. Questo assume caratteristiche che hanno una sempre maggiore rilevanza per le offerte televisive storiche. Ma la vera trasformazione non riguarda la competizione diretta con le offerte televisive e cioè non è data da un effetto direttamente sostitutivo di servizi quali Netflix sulle offerte TV attuali. La vera trasformazione è data dalla nuova natura del processo di internazionalizzazione dell’industria audiovisiva strategicamente “interpretato” in maniera avanzata dai nuovi player di mercato.
Una nuova natura del processo di globalizzazione
Operatori come Netflix, Apple, Amazon, Alphabet/Youtube o altri operatori che offrono su scala globale contenuti video o che si apprestano a farlo, presidiano i mercati internazionali tramite piattaforme che sono globali “di per sé”. Sono cioè operatori globali ancor prima di essere operatori nazionali o internazionali. Costoro non declinano la loro internazionalizzazione sulla base della distribuzione transfrontaliera di contenuti (programmi, canali) e tantomeno per investimenti diretti esteri o per acquisizioni. Si tratta di operatori che gestiscono piattaforme globali direct-to-consumer: il loro presidio diretto dei singoli mercati nazionali in cui le piattaforme operano (investimenti in contenuto, partnership, alleanze etc.) assume la forma di un perfezionamento strategico e di marketing per rafforzare il presidio stesso della piattaforma globale. Si tratta di un processo radicalmente diverso da quello che ha caratterizzato l’internazionalizzazione dei gruppi media storici (si pensi a Disney, Time Warner, Discovery etc.). Questi ultimi, finora quasi del tutto piattaforme direct-to-consumer, hanno declinato l’internazionalizzazione su criteri e modalità tipiche del secolo scorso e cioè prima che prendesse forma la platform economy. Le forme dell’internazionalizzazione che l’industria audiovisiva ha assunto in questo secolo sono, invece, direttamente legate alle forme assunte dalla platform economy. Su questo terreno si snoda il fronte più importante della competizione fra i player del mercato e si misura il futuro strategico degli operatori.
La caratteristica centrale del processo di globalizzazione, il motore che ne determina lo sviluppo attuale e futuro, non è tanto, dunque, l’incremento della circolazione globale di prodotto o del numero dei presidi esteri ma è dato dalla creazione di piattaforme operative connesse direct-to-consumer presenti globalmente.
Gruppi media e broadcaster
La trasformazione è strutturale e spinge i gruppi media storici a un drastico ripensamento delle proprie strategie. Com’è noto, i grandi gruppi media, Disney in testa, progettano e sviluppano le proprie piattaforme globali cercando di compensare questa sorta di gap storico fra i due tipi di internazionalizzazione. Non sarà una sfida facile anche perché nel frattempo i nuovi operatori, Netflix in testa, hanno sviluppato una consistente capacità produttiva e presidi estremamente forti e brand riconosciuti come grandi “istituzioni” del nuovo mercato video. La stessa recente mossa di Apple che ha lanciato la nuova piattaforma televisiva indica che il fronte delle offerte OTT sta assumendo progressivamente un peso sempre maggiore sul mercato video-televisivo. Amazon, dal canto suo, sembra intenzionato ad estendere il successo della sua piattaforme Prime Video e a declinare la propria offerta ben oltre i confini tradizionali dell’home video. Nel prossimo decennio la sfida si sposterà dal mercato video (inteso come evoluzione dell’home video storico) al mercato propriamente televisivo e riguarderà anche altri generi editoriali oltre le serie televisive e i film.
Ma se è facile comprendere come si muovono e come reagiscono o potranno reagire i grandi gruppi media che hanno un presidio globale e che sono presenti in quasi tutti i mercati, non è facile capire come potranno affrontare la platform economy i broadcaster nazionali europei che dominano i singoli mercati audiovisivi in ciascun territorio.
Per i broadcaster l’internazionalizzazione è stata sempre un terreno scivoloso. Pochi, nel corso degli ultimi trent’anni, i tentativi riusciti e i presidi stabiliti con successo oltre frontiera: Mediaset con Mediaset España, RTL Group con presidi in Francia (M6) e in altri paesi europei e poco altro ancora. I broadcaster di servizio pubblico, per definizione, operano come gruppi nazionali pur, in alcuni casi, con importanti attività estere (BBC). Ma tutto sommato l’internazionalizzazione pur spesso evocata appariva per tutti, pubblici e privati, come una sfida non necessaria in mercati che erano e sono del tutto nazionali (per prodotto e per piattaforme). Il prodotto non nazionale e a volte globale (programmi, formati) poteva essere facilmente acquistato, localizzato e distribuito localmente. L‘internazionalizzazione poteva attendere perché il mercato TV, blindato nei confini delle piattaforme televisive nazionali, pareva destinato, appunto, ad essere un mercato solo nazionale con un grado di internazionalizzazione gestito solo a livello della distribuzione B2B. Questa garantiva la circolazione del prodotto senza mettere in discussione la forza delle piattaforme nazionali.
Attualmente, progressivamente spostata sul piano della platform economy, la competizione sul nuovo mercato video-televisivo assume di per sé una natura globalizzata e le strategie di internazionalizzazione del secolo scorso non bastano più.
L’ambizione dei broadcaster nazionali è ora quella di una piattaforma consortile europea. Per quanto non facile è l’unica strada possibile ma sarebbe bene che lo sforzo di creazione di una piattaforma consortile venisse dispiegato prima a livello nazionale. In questo modo la partecipazione dei broadcaster pubblici potrebbe dare maggior impulso a un progetto europeo.
Tuttavia, dove tentate, le strade consortili furono in maniera gravemente miope bloccate dalle autorità antitrust. Circa dieci anni fa nel regno Unito la Competition Comission bloccò il progetto Kangaroo che era una joint venture fra BBC (via BBC Worldwide), ITV e Channel 4. La decisione fu presa per evitare una presunta posizione dominante degli operatori sul mercato online. Un’idea che alla luce degli sviluppi successivi pare a dir poco bizzarra. Stessa sorte riguardò un progetto simile in Germania, una sorta di consorzio fra operatori, bloccato dal German Cartel Office.
In termini generali, i broadcaster pubblici e privato-commerciali hanno mancato l’appuntamento della creazione di un fronte consortile “interno” per meglio competere con gli operatori della platform economy. Queste piattaforme consortili nazionali (BritBox nel Regno Unito ne è un esempio ma solo riguardante alcuni mercati esteri e ora anche lo stesso mercato nazionale) potrebbero essere il punto di partenza di un progetto più esteso di creazione di una piattaforma vide- televisiva europea che potrebbe fare da volano anche all’industria della produzione di contenuti.
In sintesi, per i broadcaster il presidio dell’industria video-televisiva oggi si può sviluppare sulla base di due “mosse consortili”: a livello dei singoli mercati nazionali e a livello europeo. Si tratta di fatto della stessa mossa che prende forma da una più diretta comprensione strategica della migrazione della TV in un contesto tendenzialmente dominato dalla platform economy.