Articoli antieroine

Eroine e anti-eroine nella femminilizzazione del crime

di Milly Buonanno | 13.05.2019

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The marvelous Mrs. Maisel (Amazon), Doctor WHO (BBC1), Homecoming (Amazon), Sharp objects (HBO), The handmaid’s tale (Hulu), Killing Eve (BBC America), The crown (Netflix), L’amica geniale (Rai1-HBO), Les impatientes (France2): dalla dramedy alla fantascienza, dal thriller psicologico alla distopia, dalla spy-story al biopic, dal racconto relazionale al prison drama, e oltre, il processo di femminilizzazione dello storytelling televisivo si è ormai esteso alla più ampia gamma dei generi narrativi, facendo del “protagonismo femminile diffuso”, individuale o talora corale, un elemento distintivo (e sempre più spesso un catalizzatore di premi) del TV drama contemporaneo.
Esempi e modelli di quella che ai suoi primi esordi era stata definita heroine television (Brunsdon, 1997) possono darsi ovunque la narrativa si incentri su protagoniste femminili, come testimoniano le precedenti citazioni. Va tuttavia riconosciuto che il genere crime, fra i più presenti e popolari sulla scena della fiction internazionale, ha svolto probabilmente il ruolo di maggior rilievo, ed esercitato un impatto incisivo sull’immaginario di genere, nel favorire e per così dire ‘normalizzare’ l’ingresso e il protagonismo delle figure femminili entro ambienti di vita e sfere d’azione ritenuti a lungo, per convenzione culturale, di esclusiva o prioritaria pertinenza maschile.
Il protagonismo femminile nel genere crime è divenuto in effetti un trend di larga diffusione, trainato più di recente dall’esempio influente del nordic noir Forbrydelsen/ The killing, DR1; Broen/The bridge, SVT1). Nella fiction inglese e francese, dopo un esordio seminale verificatosi già nei primi anni novanta (Crime suspect, ITV, Julie Lescot, TF1), la tendenza si è intensificata nel secondo decennio del duemila, che ha visto un numero crescente di donne rivestire un ruolo protagonistico nel police procedural e nel legal drama. Popolarità, apprezzamenti e riconoscimenti di vari crime inglesi (The happy valley, BBC1; Broadchurch, ITV; The fall, BBC2) e francesi (Capitain Marleau, France3; Munch, TF1) degli ultimi anni sono in larga misura tributari della presenza di memorabili e iconiche protagoniste femminili.
Due ulteriori, e forse più interessanti, articolazioni hanno inoltre assunto evidenza nel processo di femminilizzazione del crime.
L’una è quella che la critica inglese ha definito #MeToo-ness, con riferimento alla tendenza, emergente o strisciante in numerose fiction delle ultimissime stagioni, a narrativizzare le varie forme di violenza fisica e simbolica, di abuso e assoggettamento, in cui si esprime e manifesta il criminoso “dominio maschile’ (Bourdieu, 1998) sulle donne. Dalla rilettura e riscrittura in chiave femminista di classici del mistery (The Woman in White, BBC1) e del giallo (Ordeal by Innocence, BB1) alle ambientazioni contemporanee del thriller psicologico e del processuale incentrati su controverse vicende di stupro (The liar, ITV; Apple tree yard, BBC1), il tv drama inglese ha messo in scena figure di maschi prevaricatori, insensibili, fisicamente o psicologicamente abusivi – sui quali, e sia pure dopo lunga sopportazione, si abbatte infine la liberatoria (e punitiva) reazione femminile. La fiction francese, a sua volta, in sintonia con il diffuso filone del true-crime ha attinto alla cronaca sociale e giudiziaria nella ricostruzione di uno storico processo per stupro (Le viol, France3), e di un drammatico caso di abuso domestico (Jacqueline Sauvage, France3). Nello stesso trend si inseriscono thriller come Big little lies e The tale (HBO), e il racconto distopico di The handmaid’s tale (Hulu), storie di donne le cui vicende di vittimizzazione si ribaltano in atti di accusa e di condanna dei perpetratori.
L’altra, e decisamente la più intrigante e potenzialmente controversa intersezione fra gender (femminile) e genre (crime), riguarda un fenomeno di crescente visibilità nella fiction degli anni duemila: l’avvento su scala internazionale della inedita figura dell’anti-eroina televisiva (Buonanno, 2017). Da non confondersi con l’immagine tradizionale della villainess – la ‘cattiva’ della storia – l’anti-eroina è un personaggio femminile moralmente ambivalente, in vario modo trasgressivo delle norme sociali e di genere, la cui resistenza e sfida alla conformità, unita ad aspetti empatici e perfino ammirevoli della personalità, ne fa un accattivante emblemadi femminilità fuori dagli schemi. Sebbene non coincida necessariamente con una convenzionale figura criminale (si vedano ad esempio The house of cards, Netflix; Sharp objects, HBO; UnREAL, Lifetime), l’anti-eroina televisiva trova senza dubbio la sua incarnazione più eloquente e incisiva nelle protagoniste di crime e spy stories: ad esempio, Rosy Abate in Squadra antimafia (Canale5), Imma Savastano in Gomorra:la serie (SkyAtlantic), Elizabeth Jennings in The Americans (FX), Annalise Keating in How to get away with murder (ABC), Teresa Mendoza in Queen of the south (Netflix), Villanelle in Killing Eve (BBC America). E’ verosimile che questa nuova rappresentazione del femminile, che sembra suscitare interesse e apprezzamento abbastaznza diffusi nel pubblico e nella critica, contribuisca al formarsi di una percezione meno convenzionale e più complessa della figura femminile e della condizione umana in generale.